Jacopone da Todi
Jacopone da Todi è un altro figlio straordinario del XIII secolo. Nacque tra il 1230 e il 1236. Studiò all'università di Bologna e intraprese la professione di notaio e procuratore legale, conducendo una vita mondana. La svolta nella sua vita avvenne nel 1268, quando in circostanze tragiche e improvvise, il crollo di un pavimento, a seguito del quale morì sua moglie. Solo in quella circostanza Jacopone scopri che la sua sposa portava un cilicio. Il fatto lo sconvolse nel profondo: abbandonò la vita mondana e, distribuiti ai poveri i propri averi, visse di elemosina per dieci anni. Nel 1278 entrò come frate laico nell'ordine francescano, nel 1288 si trasferì a Roma, probabilmente presso il Cardinale Bentivenga.

Fu vicino a Celestino V e alla sua confraternita dei Pauperes heremitae. Quando questi abbandonò il papato venne eletto Bonifacio VIII. Jacopone fu tra i firmatari del Manifesto di Lunghezza del 10 maggio 1297, con cui gli avversari di Bonifacio VIII, capeggiati dai cardinali Jacopo e Pietro Colonna nemici dei Caetani cui apparteneva Bonifacio VIII, chiesero la deposizione del papa e l'indizione di un concilio. La risposta di Bonifacio VIII non si fece attendere: scomunicò tutti i firmatari con la bolla Lapis abscissus. Jacopone fu spogliato del saio, processato, condannato all'ergastolo. Solo alla morte di Bonifacio, nel 1303, fu liberato, vivendo poi gli ultimi anni a Collazione.

Venendo al nostro tema, con Jacopone la lauda assume la valenza e dignità di arte. Francesco d’Assisi e Jacopone da Todi sono assolutamente entrambi uomini del loro tempo. Hanno molti tratti in comune quali la conversione in età adulta, l’abbandono della vita agiata, l’adesione ad un ideale religioso e di vita radicale nella sequela a Cristo. Tutte e due si esprimono attraverso il linguaggio della laude, Francesco per le strade di Umbria e Toscana per lodare Dio e predicare la Buona Novella; Jacopone affidando i versi alla pergamena, affrontando tutti i temi che hanno segnato la sua vita: la figura della Vergine, l’amore, la passione , la sofferenza, la polemica politica, lo scontro con Bonifacio VIII suo grande nemico, l’abbandono nella braccia di Dio.
Una unità di linguaggio che si differenzia nel rapporto con il concreto. Francesco vede in tutto ciò che lo circonda il segno della presenza del Creatore, Jacopone, più teologo, sente ostile tutto ciò che distrae l’uomo da suo intimo incontrare Dio. Tuttavia tutte e due sono grandi mistici, vale a dire uomini che non parlano soltanto di Dio, ma che ne sperimentano la presenza. Alla luce di questo le loro strade ridiventano unite, come il linguaggio delle laudi, umane e volte alla contemplazione del mistero, concrete negli aggettivi e nelle descrizioni e alte nella contemplazione.
Non per niente la loro epoca è stata attraversata dall'anno passato alla storia come quello dell’alauda, alleluia, “alelù-Jah”: lode a Jahvè.